giovedì 21 aprile 2022
Il nuovo che avanza (eccome, se avanza!)
venerdì 15 aprile 2022
Ivan il Terribile: il primo zar di Russia ... chi sarà l'ultimo?
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Ivan IV conquista Kazan'. Dipinto di Petr Mikhailovich Shamshin (XIX secolo). Museo VV Vereshchagin, Mykolaïv, Ucraina - Foto: Culture Images / Album |
Fiumi d'inchiostro sono stati versati per interpretare in tutte le chiavi possibili la personalità umana e politica del sovrano russo che siamo abituati a chiamareIvan il Terribile (1533-1584). Nel corso del suo lungo regno, durato quasi un cinquantennio e contraddistinto da alcuni brillanti successi in politica estera e da una drammatica riorganizzazione degli apparati dello stato in politica interna, egli impose infatti un sigillo formidabile sulla storia russa, divenendone una delle figure principali e più controverse.
Il padre, Vasilij III, morì quando Ivan aveva solo tre anni. Per molti anni il giovane sovrano fu sottoposto alla tutela della famiglia principesca degli Šujskij, in una situazione per lui molto umiliante. Nel 1546, all'età di tredici anni, riuscì però a sottrarsi a questa tutela, facendo arrestare e uccidere Andrej Šujskij. Ebbe allora inizio la prima fase del suo regno, che viene solitamente valutata in modo positivo. Nel mese di gennaio del 1547 il quattordicenne Ivan fu incoronato zar, un titolo imperiale che deriva dal latino caesar e che implica la consapevolezza di un potere assoluto all’interno e del tutto indipendente verso l’esterno.
Al di là del suo enorme significato storico-culturale come definitiva rivincita sugli antichi dominatori mongoli, questa vittoria diede a Mosca il controllo dell’intero bacino del fiume Volga e quindi delle vie commerciali verso la Persia e l’India. Fu allora, in effetti, che cominciò a costituirsi l’impero russo vero e proprio, caratterizzato non solo da un’enorme estensione, ma anche da un accentuato carattere multietnico.
Insieme alla potenza dello Stato moscovita era cresciuto anche il peso dei nobili (i boiari), come lo stesso Ivan IV aveva dovuto constatare durante la sua lunga minorità. Non era dunque impossibile che, come nel vicino stato polacco-lituano, si giungesse anche in Russia a un ordinamento di carattere aristocratico che limitava drasticamente il potere del sovrano. Un’avvisaglia di questa possibilità si ebbe già nel 1553, quando Ivan IV si ammalò gravemente e riuscì solo con grande difficoltà a ottenere dalla nobiltà un giuramento di fedeltà nei confronti di suo figlio Dmitrij. Il contrasto con i boiari crebbe negli anni successivi e quando, nel 1560, l’amata moglie Anastasija morì, Ivan IV diede inizio a una violenta repressione che colpì per primi i suoi antichi consiglieri, Sil’vestr e Adašev.
La Russia fu divisa in due parti, la zemščina e l’opričnina. Il primo termine viene dalla parola zeml’ja, “terra”, la seconda da oprič, che significa invece “a parte”. Nella zemščina continuava a vigere il precedente sistema politico-sociale, mentre l’opričnina venne sottoposta al controllo diretto e totale del sovrano. Questa politica fu realizzata con l’aiuto da una guardia del corpo divenuta tristemente famosa – i cosiddetti opričniki, capitanati dal famigerato Maljuta Skuratov – che infieriva su tutti gli avversari, o supposti tali, del nuovo ordine. Il Paese conobbe allora una devastante ondata di terrore. La resistenza dei boiari venne repressa nel sangue, le loro proprietà furono depredate o confiscate dallo stato; intere città considerate ribelli furono devastate e i loro abitanti vennero deportati o massacrati.
Novgorod, una ricca e potente città-Stato mercantile a nord-ovest di Mosca, collegata alla Lega Anseatica ed espressione di un modello politico ed economico che molti russi continuano a rimpiangere, venne colpita con particolare durezza. In effetti, il trionfo dell’autocrazia moscovita sulla “democrazia” di Novgorod ha impresso una svolta decisiva alla storia russa. In questi anni Ivan IV, che ebbe in rapida successione sei altre mogli, soffriva di incontrollabili scatti d’ira.
Il metropolita Filipp, che osò rimproverare il sovrano per i suoi crimini, venne assassinato nel 1568. Nel 1572 lo zar dichiarò l’abolizione dell’opričnina, che però continuò a esistere ancora per tre anni. Il momento culminante del terrore scatenato da Ivan IV si colloca tra il 1564 e il 1572, ma ancora nel 1581 egli uccise il suo primogenito in un accesso d’ira. Oltre che da queste violenze interne, gli ultimi anni del suo regno furono caratterizzati anche da numerose sconfitte militari. Nel 1582-83 la Russia dovette rinunciare a tutte le conquiste sul Baltico a favore di polacchi e svedesi. La potenza svedese, che sbarrava ai russi la via del Baltico costringendoli in questo modo a un’umiliante e svantaggiosa posizione commerciale, sarebbe stata infranta solo da Pietro il Grande, un secolo e mezzo dopo. Soltanto verso Oriente vi furono ancora dei successi durante il regno di Ivan IV.
Il suo regno è stato oggetto d'interpretazioni varie e contrastanti, simbolo per gli uni della ferocia “asiatica” dello stato russo, per gli altri dell’inflessibile (e benefica per l’intera nazione) volontà di coesione e unità. Entro certi limiti, peraltro, nella politica di Ivan IV si può vedere l’equivalente russo dello scontro che sovrani europei a lui contemporanei, quali Enrico VIII d’Inghilterra o Luigi XI di Francia, dovettero affrontare per vincere le residue velleità delle loro aristocrazie e instaurare una monarchia assoluta.
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Ritratto di Ivan IV. Incisione del XVI secolo. Museo Storico, Mosca |
In questo senso la crudeltà politica di Ivan IV, al di là delle sue possibili patologie, sancì il consolidamento di un potere centrale assoluto in maniera molto più radicale e duratura di quanto stava avvenendo nell’Europa occidentale. Il significato storico del terrore di Ivan IV è quindi da vedere nella sostituzione – più o meno completa – dell’antica aristocrazia del sangue con una nuova, piccola, nobiltà strettamente dipendente dal sovrano che la dotava di terre in cambio di un servizio permanente. Questo sistema (in russo pomest’e) era assai simile a quello dei timar allora in vigore nell’Impero ottomano, che alcuni – in particolare il pubblicista Ivan Peresvetov – esaltavano quale modello per l’impero russo tanto nella sfera politica quanto in quella militare.
A prescindere dalle pur importanti conseguenze interne ed esterne del suo regno, Ivan IV costituisce nella storia russa un modello politico imprescindibile, proprio per il suo essere “terribile”. Sotto di lui si è infatti manifestata per la prima volta in modo assolutamente chiara la natura autocratica del potere statale russo, destinata a perpetuarsi nei secoli pur nel mutamento delle strutture politiche e ideologiche. Un potere assoluto, sostanzialmente privo di contrappesi, rivolto soprattutto al rafforzamento dello stato e incarnato nei secoli successivi soprattutto dalle figure di Pietro il Grande e Stalin.
Non a caso quest’ultimo commissionò nel 1944 a Ejzentejn un film su Ivan il Terribile nel quale è evidente il parallelo storico tra le due figure. E, secondo alcuni, anche chi oggi regge dal Cremlino le sorti della Russia deve essere inserito in questa linea politica.
martedì 12 aprile 2022
Ombre sulla Giornata del volo spaziale, dedicata a Gagarin
La Stazione Spaziale resta un'oasi fuori dal mondo
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Yurij Gagarin, il 12 aprile 1961 è stato il primo uomo ad andare nello spazio © ANSA/EPA |
La guerra in Ucraina allunga le sue ombre anche sulla Giornata Mondiale del Volo Umano nello Spazio.
Istituita
nel 2011 dall'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) celebra l'inizio
dell'era spaziale e Yurij Gagarjin, che il 12 aprile 1961 è stato il
primo uomo ad affrontare un volo spaziale.
Mai, dal 2011, questa
giornata arriva in un periodo così difficile per lo spazio, con lo stop
di importanti cooperazioni spaziali, come la missione ExoMars per Marte,
e che vede la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) come un'oasi che
continua a funzionare regolarmente.
Istituita dell'Assemblea Generale dell'ONU
per celebrare "l'inizio dell'era spaziale per l'umanità", la Giornata
del volo umano nello spazio è nata per affermare l'importante
"contributo della scienza e della tecnologia spaziale nel raggiungimento
degli obiettivi di sviluppo sostenibile e nell'aumento del benessere
degli Stati e dei popoli, oltre a garantire la realizzazione della loro
aspirazione a mantenere lo spazio esterno per scopi pacifici". Fra i suoi scopi c'è anche quello di sottolineare come lo
spazio debba essere un territorio a beneficio dell'intera umanità,
pacifico e senza confini.
Simbolo della giornata è Yurij Gagarjin che il 12
aprile del 1961 completò un'orbita attorno alla Terra a bordo di una
capsula Vostok 1 raggiungendo una quota di 302 chilometri. Una data
simbolo della competizione spaziale tra Unione Sovietica e Usa, che
l'ONU definisce come una nuova 'dimensione' per tutta l'umanità. Iconici
in tal senso sono anche i Voyager Golden Record, due
dischi d'oro installati a bordo delle sonde Voyager lanciate negli anni
'70 per esplorare i confini del Sistema Solare e ora in viaggio nello
spazio interstellare, con all'interno un messaggio di pace da parte
dell'intera umanità. Dischi che sono stati ricordati nella pagina
dedicata alla Giornata sul sito dell'ONU: "L'impresa del progetto
Voyager ci ricorda chi siamo, da dove veniamo e che dovremmo trattarci a
vicenda con cura", ha commentato la direttrice dell'Ufficio delle
Nazioni Unite per gli affari spaziali (UNOOSA), Simonetta Di Pippo.
Lo
spazio però in questi mesi si è anche trasformato in territorio di
propaganda politica, Per esempio, il capo dell'agenzia spaziale russa
Roscosmos Dmitry Rogozin, da alcuni giorni ha scelto come immagine del
suo profilo Twitter il volto di Gagarin. Le scelte del capo di Roscosmos
hanno portato alla conclusione di alcune importati collaborazioni con
l'occidente, tra cui la missione ExoMars verso Marte e l'uso europeo del
lanciatore Soyuz.
Gagarin "non può essere oggetto di discussione politica" perché è "un simbolo per l'umanità", ha detto l'astronauta Samantha Cristoforetti, dell'Agenzia Spaziale Europea (ESA).
Per il presidente dell'Agenzia Spaziale Italiana (ASI), Giorgio Saccoccia, a resistere, come "un'oasi di collaborazione"
è la Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Nonostante tutto, ha
aggiunto, "nelle scorse settimane abbiamo visto avvicendarsi equipaggi
di nazionalità diverse e ogni volta abbiamo visto proseguire in modo
nominale il mantenimento delle funzioni essenziali alla vita della ISS,
sotto la responsabilità diversi partner". Segnale che "ci dispone bene
per il futuro".
giovedì 7 aprile 2022
Uguali davanti alla morte
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Funzionamento della ghigliottina |
«Con la mia macchina, vi faccio saltare la testa in un batter d’occhio, e voi non soffrite». Questa frase fu riportata dal quotidiano francese Le Moniteur universel. Secondo il giornale, l'avrebbe pronunciata Joseph-Ignace Guillotin, un medico francese il cui nome è letteralmente e indissolubilmente legato alle decine e decine di morti – illustri e non – che lasciò dietro di sé la Rivoluzione francese.
La stesura finale del codice penale, che fu approvato il 25 settembre 1791, nei suoi articoli 2 e 3 afferma: «La pena di morte consisterà nella semplice privazione della vita, senza esercitare alcuna tortura sui condannati. A ogni condannato verrà tagliato il collo». Eppure la ghigliottina – o marchingegni simili nel funzionamento e nello scopo – esisteva fin dall'antica Roma.
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Ghigliottina Romana (c 340 A.C.) Figlio del Console Tito Manlius eseguito mediante ghigliottina per ordine del padre |
A volte, come in Inghilterra, era dotata di una lama ricurva; altre volte aveva nomi fuorvianti, come la scottish maiden – la donzella scozzese – delle Terre Alte; altre ancora il nome lasciava presagire il peggio, come nel caso della mannaia romana dello Stato pontificio.
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Mannaia Romana dell'800 a forma di volpe |
Guillotin ebbe il merito di proporre per primo un metodo d'esecuzione delle condanne a morte ugualitario. Ma il medico – ironia della sorte – non ebbe niente a che fare con l'implementazione della ghigliottina come strumento di morte. Nel marzo del 1792, l’Assemblea Legislativa, impegnata nella stesura del nuovo codice penale, incaricò il medico chirurgo Antoine Louis, segretario perpetuo dell’Académie de Chirurgie, dell’elaborazione definitiva del nuovo strumento per realizzare le esecuzioni. In base alle proposte di Louis, diversi artigiani avrebbero fabbricato prototipi per il «nuovo metodo di decapitazione».
Il prescelto fu quello di Tobias Schmidt, per la sua efficacia e anche per il costo previsto per la produzione “in serie” dell’apparato: si stabilì infatti che ogni dipartimento di Francia dovesse essere dotato di almeno una ghigliottina. Intorno al 10 aprile di 230 anni fa, vedeva dunque la luce la prima ghigliottina, che fu posta in opera il 25 aprile 1792 con l'esecuzione di Nicolas Pelletier, un giovane condannato per furto e omicidio. A partire da quel momento, la ghigliottina non smise di decapitare re e regine, personaggi illustri e semplici ladruncoli.
Durante l’Ancien Régime le autorità cercavano in ogni modo di imporre il rispetto della legge e del potere del sovrano, e a tale scopo comminavano pene esemplari per creare timore e garantirsi l’obbedienza dei sudditi. Strumento fondamentale e assai utilizzato era la pena di morte, che, con il pretesto di ottenere la confessione, era preceduta spesso da orribili supplizi.
Si trattava di un sistema punitivo profondamente iniquo. Infatti gli aristocratici erano esentati dalla tortura o dal maltrattamento fisico o psicologico, e
quando erano condannati a morte venivano decapitati con un metodo
rapido e apparentemente indolore (se realizzato da mano esperta). Al
contrario, gli uomini e le donne del popolo venivano giustiziati con metodi brutali, come la forca, lo squartamento o il rogo.
Queste esecuzioni erano solitamente precedute da torture stabilite dal
giudice, che venivano inferte pubblicamente: dalla flagellazione alla
tortura della ruota fino alla rottura di tutte le ossa del corpo o
all’uso di pinze o tenaglie, con le quali si asportavano brandelli di
carne.
Dibattiti sulla pena capitale
Nel corso del Settecento, il secolo dell’Illuminismo, molti giuristi e letterati denunciarono il ricorso alla tortura, la sproporzione delle pene e i privilegi dell’aristocrazia; alcuni arrivarono a chiedere l’abolizione della pena di morte. Si distinsero in questo senso Voltaire con il Trattato sulla tolleranza (1763) e Cesare Beccaria con Dei delitti e delle pene (1764). Entrambe le opere avrebbero ispirato le iniziative dei rivoluzionari francesi: una delle prime imprese che impegnarono l’Assemblea Nazionale Costituente fu l’elaborazione di un codice penale in accordo con i principi del diritto naturale, e fu in questo contesto che si tenne il dibattito sulla pena di morte.
Il 10 ottobre dell’anno 1789, Joseph Ignace Guillotin, un medico dell’età di 50 anni, presentò una proposta per stabilire l’uguaglianza di fronte alla legge anche nell’ambito del diritto penale: «I delitti dello stesso genere verranno puniti con lo stesso tipo di pena, a prescindere dal rango o dalle condizioni del colpevole», affermava. Questo principio, che ora sembra naturale, era rivoluzionario in Francia e impiegò anni per essere approvato nel resto dei Paesi.
Guillotin non metteva in discussione la pratica della pena capitale. La sua proposta intendeva parificare le pene e contemporaneamente renderne più umana l’applicazione. Perciò, propose di estendere il metodo della decapitazione, fino ad allora privilegio dell’aristocrazia, a tutte le classi sociali. Allo stesso tempo, al fine di evitare gli incidenti e gli errori spesso commessi dai boia nell’uso dell’ascia o della spada, proponeva di utilizzare un sistema «il cui meccanismo tagliasse la testa in un battito di ciglia». Il riferimento di Guillotin a questo “marchingegno” di decapitazione fece poi molto discutere, ma è errata la credenza comune secondo cui fu lui l’inventore di quella che conosciamo come ghigliottina. Almeno dal XIII secolo in diversi Paesi d’Europa venivano utilizzati dispositivi simili, anche se non erano particolarmente comuni, e in ogni caso essi erano riservati agli esponenti delle classi sociali più alte. Certamente però Guillotin lavorò al suo perfezionamento.
Nell’ambito del dibattito sul nuovo codice penale, il 30 maggio del 1791 il deputato Louis-Michel Lepeletier de Saint-Fargeau fece un ulteriore passo proponendo l’abolizione della pena di morte. Il suo amico Robespierre fu uno dei pochi (si potrebbero contare sulle dita di una mano) ad appoggiare questa misura umanitaria. Ma lo sforzo compiuto da entrambi fu inutile: infatti, l’1 giugno del 1791 la stragrande maggioranza dei deputati votò a favore dell’esecuzione capitale. Lepeletier de Saint-Fargeau non si perse d’animo e due giorni più tardi propose l’adozione del principio di uguaglianza di fronte alla pena di morte: «Ogni condannato a morte verrà decapitato».
La stesura finale del codice, che fu approvato il 25 settembre 1791, nei suoi articoli 2 e 3 afferma: «La pena di morte consisterà nella semplice privazione della vita, senza esercitare alcuna tortura sui condannati. A ogni condannato verrà tagliato il collo». In questo modo, l’uguaglianza di fronte alla legge si estendeva anche alla questione penale. Nel marzo del 1792, l’Assemblea Legislativa, impegnata nella stesura del nuovo codice penale, incaricò il medico chirurgo Antoine Louis, segretario perpetuo dell’Académie de Chirurgie, dell’elaborazione definitiva del nuovo strumento per realizzare le esecuzioni.
Louis e il suo collaboratore Tobias Schmidt, un fabbricante tedesco di clavicembali, misero a punto un dispositivo che s'ispirava agli strumenti simili utilizzati negli altri Paesi europei, ma migliorandone la struttura e la funzionalità con l’obiettivo di ridurre il più possibile il dolore. Il contributo principale di Louis fu il modello con lama obliqua, «affinché tagli nettamente e raggiunga il suo obiettivo», secondo quanto da lui stesso affermato. Sia Louis sia Guillotin avrebbero in seguito preso a male il fatto che il loro nome venisse associato alla nuova invenzione, che presto fu conosciuta come louison o louisette e, più comunemente, con il nome di ghigliottina.
Il prototipo venne realizzato in due settimane, e poi messo alla prova su cadaveri animali e umani. Infine, la ghigliottina venne installata in Place de Grève, di fronte al Municipio di Parigi, e fu lì che il 25 aprile del 1792 Nicolas-Jacques Pelletier, accusato di rapina a mano armata, divenne il primo condannato a essere giustiziato con il nuovo strumento.
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Nicolas-Jacques Pelletier, accusato di rapina a mano armata, divenne il primo condannato a essere giustiziato con il nuovo strumento |
Il dispositivo sembrava essere destinato a sostituire i boia per i casi di delinquenza o criminalità comune. Ma appena pochi mesi dopo, il 21 di agosto del 1792, vennero portati alla ghigliottina due condannati politici: due servitori di Luigi XVI, che era stato deposto in seguito all’insurrezione del 10 agosto, accusati di attività controrivoluzionaria. Da quel momento, sotto il governo rivoluzionario che durerà fino alla caduta di Robespierre quasi due anni più tardi, la ghigliottina si trasformò nello strumento e nel simbolo della politica di terrore che la Rivoluzione aveva scatenato contro i suoi nemici intestini – gli aristocratici e i sostenitori dell’Ancien Régime – e come reazione di fronte alla minaccia dei poteri totalitari vicini.
Durante questo periodo il totale dei condannati messi a morte con la ghigliottina in tutta la Francia fu di 16.594 persone. Di questi, 2622 vennero giustiziati a Parigi, soprattutto con la ghigliottina che era stata collocata in Place de la Révolution (oggi Place de la Concorde); lì troveranno la morte Luigi XVI, Maria Antonietta e, dopo il colpo di Stato del Termidoro, lo stesso Robespierre. Questo fu il bilancio del periodo del Terrore, durante il quale fu compiuto un tentativo di controllare e centralizzare la violenza politica più generalizzata che era stata esercitata in quegli anni e che si calcola avesse mietuto fra le 35.000 e le 40.000 vittime, includendo le rivolte popolari, le esecuzioni sommarie e le morti nelle carceri.
Terminato il Terrore, la ghigliottina non cadde in disuso: continuò a essere utilizzata durante il Direttorio, da Napoleone e da tutti i regimi successivi, per quasi due secoli. L’ultima esecuzione con questo metodo venne effettuata nel 1977, quattro anni prima dell’abolizione della pena di morte.
Nemo
Bibliografia
Fonte: Storica - A. Palumbo II.IV.MMXXII
venerdì 1 aprile 2022
Bandiere e vessilli che raccontano la storia
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Immagine geopolitica dell'ex URSS |
Quando, nel 1991, l'URSS smise ufficialmente di esistere, i Paesi nati dalle sue ceneri adottarono simboli d'identità nazionale che si rifacevano a un'epoca anteriore ai tempi bui del regime.
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Immagine geopolitica dell'Ucraina |
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Stemma Federazione Russa |
Secondo la tradizione, invece, i colori della bandiera ucraina rifletterebbero i colori del cielo sui campi di grano dorato. D'altra parte gli stessi colori erano stati adottati nel 1848 dai rivoluzionari di Galizia, la regione occidentale del Paese alla frontiera con la Polonia, che lottavano per la creazione di una nazione ucraina sotto il dominio dell'impero Austro-Ungarico. Di nuovo, l'attuale vessillo si richiama a un passato in cui il popolo rivendicava un'identità nazionale indipendente dal giogo straniero – sia austriaco, sia russo.
Gli emblemi di Russia e Ucraina
Solo simboli? Forse. O forse auspici – da entrambe le parti – di una storia che ripete sé stessa.
Nemo
Bibliografia:
Storica - Annalisa Palumbo