sabato 12 febbraio 2022

Quel ramo della famiglia De Giacomi... Un "fil rouge" tra Borgofranco e Chiavenna

BIRRA LIVORNO




Manifesto della BIRRA LIVORNO - Si notino l'affinità grafica e l'impostazione dello stile
con un forte richiamo all'analogo manifesto della BIRRA BORGOFRANCO

Storia

Alla fine dell’800 in Italia, il mestiere di birraio era svolto da pochissimi imprenditori vista la dominante cultura vinicola. Ancora di più lo era in regioni come il Piemonte, patria di vini pregiati. Forse questo fu il motivo che indusse il giovane Giuseppe De Giacomi a trasferirsi a Livorno e rilevare, nel 1892, la vecchia Birreria Kieffer. A quella data si trattava di un piccolo laboratorio artigiano con annesso locale per il consumo posto nel quadrilatero formato dalla Via Mentana, Via de Lardarel, Via Sproni e Via Chiellini. Da qui ha inizio la storia della fabbrica di Birra De Giacomi che ebbe un grande sviluppo fino al 1939, anno in cui l’intero complesso fu acquisito dalla Società Birra Peroni. 
Per la produzione della birra si utilizzava l’acqua che si trovava in abbondanza proprio sotto lo stabilimento, canalizzandola direttamente dalla sorgente agli impianti produttivi. 
Gli anni della guerra si abbatterono sugli impianti in maniera devastante danneggiando gli edifici produttivi che furono ricostruiti e ampliati riprendendo la corsa produttiva fino a raggiungere i 70.000 ettolitri nel 1963. L’emergere di stabilimenti più all’avanguardia e l’ubicazione dell’impianto nel centro città unitamente all’impossibilità di poter ampliare le unità produttive determinò il lento declino della Birreria livornese, che chiuse i battenti nel 1979, lasciando un segno forte e indelebile nella storia e nella cultura della città.
Alla fine dell’800 in Italia, il mestiere di birraio era svolto da pochissimi imprenditori vista la dominante cultura vinicola. Ancora di più lo era in regioni come il Piemonte, patria di vini pregiati. Forse questo fu il motivo che indusse il giovane Giuseppe De Giacomi a trasferirsi a Livorno e rilevare, nel 1892, la vecchia Birreria Kieffer. A quella data si trattava di un piccolo laboratorio artigiano con annesso locale per il consumo posto nel quadrilatero formato dalla Via Mentana, Via de Lardarel, Via Sproni e Via Chiellini. Da qui ha inizio la storia della fabbrica di Birra De Giacomi che ebbe un grande sviluppo fino al 1939, anno in cui l’intero complesso fu acquisito dalla Società Birra Peroni. 
Per la produzione della birra si utilizzava l’acqua che si trovava in abbondanza proprio sotto lo stabilimento, canalizzandola direttamente dalla sorgente agli impianti produttivi. 
Gli anni della guerra si abbatterono sugli impianti in maniera devastante danneggiando gli edifici produttivi che furono ricostruiti e ampliati riprendendo la corsa produttiva fino a raggiungere i 70.000 ettolitri nel 1963. L’emergere di stabilimenti più all’avanguardia e l’ubicazione dell’impianto nel centro città unitamente all’impossibilità di poter ampliare le unità produttive determinò il lento declino della Birreria livornese, che chiuse i battenti nel 1979, lasciando un segno forte e indelebile nella storia e nella cultura della città.
Alla fine dell’800 in Italia, il mestiere di birraio era svolto da pochissimi imprenditori vista la dominante cultura vinicola. Ancora di più lo era in regioni come il Piemonte, patria di vini pregiati. Forse questo fu il motivo che indusse il giovane Giuseppe De Giacomi a trasferirsi a Livorno e rilevare, nel 1892, la vecchia Birreria Kieffer. A quella data si trattava di un piccolo laboratorio artigiano con annesso locale per il consumo posto nel quadrilatero formato dalla Via Mentana, Via de Lardarel, Via Sproni e Via Chiellini. Da qui ha inizio la storia della fabbrica di Birra De Giacomi che ebbe un grande sviluppo fino al 1939, anno in cui l’intero complesso fu acquisito dalla Società Birra Peroni.
Alla fine dell’800 in Italia, il mestiere di birraio era svolto da pochissimi imprenditori vista la dominante cultura vinicola. Ancora di più lo era in regioni come il Piemonte, patria di vini pregiati. Forse questo fu il motivo che indusse il giovane Giuseppe De Giacomi a trasferirsi a Livorno e rilevare, nel 1892, la vecchia Birreria Kieffer. A quella data si trattava di un piccolo laboratorio artigiano con annesso locale per il consumo posto nel quadrilatero formato dalla Via Mentana, Via de Lardarel, Via Sproni e Via Chiellini. Da qui ha inizio la storia della fabbrica di Birra De Giacomi che ebbe un grande sviluppo fino al 1939, anno in cui l’intero complesso fu acquisito dalla Società Birra Peroni.
Alla fine dell’800, in Italia, il mestiere di birraio era svolto da pochissimi imprenditori, soprattutto a causa della cultura vinicola. Ancor di più lo era in regioni come il Piemonte, patria di vini pregiati e blasonati, e forse questo fu il motivo che indusse il giovane Giuseppe De Giacomi a trasferirsi in toscana; nel 1893 la famiglia De Giacomi, stabilitasi a Chiavenna, rilevò dal tribunale fallimentare di Livorno un piccolo birrificio, creato a metà dell'Ottocento da Ottavio Guglielmo Kieffer. (Nel 1887 la birreria fondata da Ottavio Guglielmo era passata al figlio Emilio che insieme all'imprenditore Gino Del Moro avevano fondato la Società Kieffer-Del Moro). A quella data si trattava di un piccolo laboratorio artigiano con annesso locale per il consumo, situato nel quadrilatero formato da Via Mentana, Via de Lardarel, Via Sproni e Via Chiellini. La BIRRA LIVORNO, sulla scia della BIRRA di BORGOFRANCO, conquistò i toscani ed ebbe un rapido quanto proficuo sviluppo sia in Italia che all'estero. Per la produzione della birra si utilizzava l’acqua che si trovava in abbondanza proprio sotto lo stabilimento, canalizzandola direttamente dalla sorgente agli impianti produttivi. 

Tappo  e marchio originale BIRRA LIVORNO
 
Dopo l'acquisto del birrificio Kieffer, Giuseppe De Giacomi fece ampliare e modernizzare il processo produttivo, lanciando sul mercato nazionale il marchio BIRRA LIVORNO. Negli anni trenta del Novecento si raggiunse la produzione di 25.000 ettolitri e crebbe notevolmente  la presenza sul mercato internazionale grazie anche alla distribuzione nelle colonie dell'Africa Orientale Italiana.
Nel 1937 la Società Birra Peroni iniziò ad interessarsi alla
BIRRA LIVORNO, le cui quote di mercato erano in aumento soprattutto in Toscana e nel 1939 acquisì definitivamente l'impianto.
Fino al 1942 la produzione birraia non risentì degli eventi bellici ma il 10 aprile 1943, con decreto ministeriale (Atto n.49893 DECRETO MINISTERIALE 10/04/1943 DIVIETO DI VENDITA DELLA BIRRA), fu impedita d'autorità la vendita ai civili e la produzione fu dirottata verso le armate tedesche. 

Reparto imbottigliamento BIRRA LIVORNO
 
Fra maggio e giugno 1944 la fabbrica fu bombardata dagli Alleati e subì ingenti danni che determinarono il blocco della produzione, che ripartì soltanto nell'aprile del 1946 .
Nel 1979 cessò definitivamente la produzione della birra e rimase in funzione
solo l'impianto di confezionamento che nel 1984 fu chiuso insieme al reparto deposito e spedizione. 

Negli anni successivi, la storica fabbrica della birreria, ubicata nel cuore della Livorno ottocentesca, fu demolita per far posto ad un vasto complesso edilizio.

Nel 2010, a più di cento anni dalla nascita della
BIRRA LIVORNO, il proprietario della Birreria Artigianale Brunz di Empoli, dopo averne registrato il marchio, ripropone e promuove questa birra, commercializzata in bottiglia nella città e provincia di Livorno.

Nuovo Logo BIRRA LIVORNO

n.d.r.  da Il Tirreno, Empoli, 20 maggio 2010
 
... Fu prodotta per l'ultima volta nel 1937, quando lo stabilimento livornese dei fratelli De Giacomi venne rilevato dalla Peroni. Oggi, a distanza di oltre mezzo secolo, torna sul mercato la "BIRRA LIVORNO" prodotta da Bruno Bianucci, della birreria artigianale "Brunz" di piazza Guerra, a Empoli. Bianucci ha rilevato il marchio ormai libero diventandone proprietario.

«La riproduzione del marchio - sottolinea Bianucci - vuole essere un omaggio alla città di Livorno e a tutta la Toscana». La "
BIRRA LIVORNO" fu prodotta per la prima volta nel 1891 dalla birreria livornese "F.lli De Giacomi", divenuta la seconda esportatrice in Italia prima della chiusura nel 1937. Adesso, grazie a Bianucci, la storica birra ritorna in auge e già da oggi si potrà trovare sui tavoli di alcuni ristoranti, pub e bar di Livorno. Al momento è racchiusa in bottiglie da 75cc, a partire da ottobre verrà imbottigliata anche nel formato 33cc.

«Dopo un'attenta ricerca - spiega Bianucci - sono venuto a conoscenza che il marchio era ormai libero. Ho deciso allora di
acquistarlo per riproporlo e promuoverlo. La birra è destinata, per ora, solo a locali di Livorno». È una birra artigianale ad alta fermentazione. Bianucci la produce in due versioni: bionda e amaranto con gradazione alcolica di cinque gradi per entrambe.
La creazione di questa birra pregiata è parte di un procedimento lungo e paziente;  occorre almeno un mese di fermentazione e quando si parla di scadenza si può stare tranquilli almeno per un anno. Bianucci ci racconta la sua decisione di ricreare una birra italiana storica, mentre i corrieri sono già pronti per riportarla, dopo 73 anni di lontananza, a Livorno.

 
Bibliografia
Claudio Norfini, Storia della birra a Livorno, 2011 ISBN n.d..
AA.VV., Peroni a Livorno, Edizioni Itinera, 2005, ISBN 88-89842-06-7 
Il Tirreno - edizione di Empoli del 20 maggio 2010



domenica 6 febbraio 2022

Borgofranco: un toponimo diventa marchio per acqua e birra

 Alla mostra “Dalla Belle Epoque alle trincee” l’analisi dei documenti pubblicitari e di comunicazione di inizio Novecento

L’esposizione di bellissimi manifesti pubblicitari e di materiali di comunicazione della Fabbrica della birra De Giacomi e dello Stabilimento idroterapico ha permesso di dedicare un capitolo della mostra alla nascita di un marchio: BORGOFRANCO. Il toponimo fu scelto infatti dai De Giacomi, titolari di entrambe le iniziative industriali, come marchio commerciale ben conosciuto e diffuso dalla fine dell’Ottocento fino agli anni Settanta del Novecento.
In mostra si possono ammirare le eleganti carte da lettera e fatture intestate che sfoggiano dapprima raffinati stampati in corsivo per poi arrivare a affascinanti font liberty nei primi decenni del ‘900. 
 
All’Esposizione Internazionale del 1911 a Torino alla birra BORGOFRANCO venne assegnato un “Grande diploma d’onore” per le caratteristiche encomiabili della bevanda. I De Giacomi non mancarono di utilizzare tale riconoscimento in una messe di materiali promozionali, prima fra tutti la bellissima affiche in cui una bella e gioiosa cameriera offre i boccali della bevanda spumeggiante mentre un elegante cliente sta già assaporandone un bicchiere. Il grande diploma d’onore viene ricordato poi nelle targhe pubblicitarie in metallo e soprattutto nella carta intestata. La scritta BORGOFRANCO, a pieno titolo già diventata marchio, compare in un bel font liberty e tornerà ripetutamente in tutta la comunicazione anche quando i De Giacomi inizieranno la promozione dello stabilimento idroterapico e delle sue pregiate acque arsenicali.

La promozione dello stabilimento idroterapico si svolgerà sotto la più attenta analisi chimica delle acque svolta da vari studiosi tra i quali il Prof. Piero Giacosa che la definirà “il tipo più perfetto delle acque arsenicali”. Gli opuscoli pubblicati e visibili in mostra, toccano tanto il tema dell’analisi scientifica, quanto la varietà ed unicità dei trattamenti praticati nella struttura senza dimenticare la promozione turistica del territorio nel proporre “Passeggiate ed escursioni”. Lo fanno con pubblicazioni di grande eleganza che utilizzano font e decori tipici del liberty. Un’accattivante affiche fu realizzata per promuovere la nuova località termale, luogo dove favorire la “perfetta salute”. Neanche a dirlo, si parla della nuova acqua BORGOFRANCO.
 
Dall’acqua alle bibite il passo sarà breve: aranciata e cedro-menta “in acqua Borgofranco” saranno un fiore all’occhiello fin dagli anni Trenta, pubblicizzate con cartellonistica metallica, litografie, insegne e più avanti specchiere da bar, posacenere, matite ed altro materiale di merchandising.
Iconico oggetto destinato a rappresentarne il contenuto furono le bottiglie, sia le bottiglie dell’acqua con l’immortale etichetta, su cui l’elegante edificio termale è rappresentato e che si fanno riconoscere in modo univoco per la forma del collo, sia le bottigliette mono-porzione (un’innovazione del primo dopoguerra) realizzate con vetro serigrafato e pensato per rendere l’effetto rugoso della buccia degli agrumi e restituire un’emozione anche tattile.
 

Manifesti, foto d’epoca, bottiglie, insegne, materiale di comunicazione ed un vero angolo di birreria ammobiliato con gli sgabelli ed il tavolino in metallo dello stand De Giacomi all’esposizione Universale di Torino 1911 vi aspettano a Borgofranco, Palazzo Marini con la mostra “Dalla Belle Epoque alle trincee” fino al 28 febbraio.

Nadia Bontempo

sabato 5 febbraio 2022

I primi giochi olimpici invernali

 

I primi giochi olimpici invernali

Quando Parigi fu scelta per ospitare i giochi olimpici del 1924, il comitato olimpico internazionale decise di organizzare a Chamonix, ai piedi del monte Bianco, una settimana internazionale degli sport invernali, che sarebbe diventata la prima edizione dei giochi invernali della storia


Inaugurazione entusiasta
Foto: IOC

Inaugurazione entusiasta

I giochi di Chamonix, svoltisi tra il 25 gennaio e il 5 febbraio 1924, videro la partecipazione di 258 atleti impegnati in sedici gare sportive. La cerimonia di apertura si svolse la mattina del 25 gennaio. In un clima gelato e sotto un sole radioso, centinaia di sportivi di sedici nazioni sfilarono per le strade del paese accolti con entusiasmo dalle migliaia di abitanti della zona che assistettero all’inaugurazione.
Nell’immagine, un momento della sfilata della squadra britannica.


Il fiore all'occhiello
Foto: Associated Press

Il fiore all'occhiello

Nei giorni precedenti le piogge e le alte temperature avevano messo a rischio la celebrazione dell’evento. L’installazione più emblematica, la pista di ghiaccio costruita per le gare di pattinaggio artistico e di velocità, si era progressivamente trasformata in un pantano. Per fortuna l’abbassamento delle temperature la fece ghiacciare nuovamente, con grande sollievo generale, permettendo il regolare svolgimento di tutte le competizioni: la corsa sui pattini, il pattinaggio artistico e le partite di hockey.


Popolarità in ascesa
Foto: Rue des Archives / Cordon Press

Popolarità in ascesa

Quasi tutti gli sport considerati invernali hanno origine scandinava, come lo sci, inventato per muoversi sulla neve e il ghiaccio in modo rapido e sicuro. Alla fine del XIX secolo lo sci divenne popolare in tutta Europa e si cominciarono a organizzare delle competizioni sportive, come questa femminile organizzata a Chamonix nel 1908.


La febbre del pattinaggio
Foto: Associated Press

La febbre del pattinaggio

Pure il pattinaggio su ghiaccio ha un’origine nordica precedente alla nostra era, anche se le scarpe provviste di lame metalliche si diffusero nei Paesi Bassi nel Medioevo. Negli anni sessanta dell’ottocento, all’auge della moda del pattinaggio su ghiaccio, uno statunitense stabilì le prime regole del pattinaggio artistico o di figura. Lo sport si diffuse in America settentrionale e in Europa raggiungendo una gran popolarità, come mostra l’immagine sopra queste righe, nella quale vari gruppi di persone pattinano sul ghiaccio al Central Park nel 1893.


Sport invernali, giochi estivi
Foto: IOC

Sport invernali, giochi estivi

Fino al 1924 tutti gli sport considerati invernali avevano avuto un piccolo spazio riservato durante i giochi estivi. Nel 1908 il pattinaggio artistico fu introdotto come disciplina olimpica nell’edizione londinese e, dopo essere stato eliminato dal programma nel 1912, rientrò nella competizione nel 1920 – dopo la parentesi della Prima guerra mondiale – ad Anversa, dove fu aggiunta anche la gara di hockey su ghiaccio.
L’immagine mostra una coppia di concorrenti ad Anversa 1920.


Il primo campione
Foto: Pubblico dominio

Il primo campione

Il primo campione olimpico della storia dei giochi invernali fu il nordamericano Charles Jewtraw, vincitore della medaglia d’oro nella prova dei cinquecento metri di pattinaggio di velocità su ghiaccio. Jewtraw non era considerato un favorito, ma sorprese tuti fermando il cronometro a 44’00 secondi.
In questa immagine, Jewtraw si prepara a partire in una prova di cento iarde (novantuno metri) nel 1921, dove ottenne il record nazionale.


Il pattinatore più veloce
Foto: Pubblico dominio

Il pattinatore più veloce

Il gran favorito di questa prova, Clas Thunberg, ottenne soltanto il terzo posto. Ma il campione finlandese fu compensato di questa sconfitta grazie agli ori vinti nei millecinquecento e cinquemila metri e nella combinata nordica, oltre all’argento dei dieci chilometri. Quattro anni dopo, a Saint Moritz, ripeté l’oro nei millecinquecento metri, a cui aggiunse quello dei cinquecento. Il suo record di cinque ori non è stato ancora superato. Uomo di carattere deciso, Thumberg non ampliò il proprio palmarès olimpico perché nel 1932 rifiutò di partecipare, contrariato dal sistema di competizione ideato per Lake Placid.
In questa fotografia appare sulla destra, in una gara del 1923.


Lo sport re della neve
Foto: Sports photo / Cordon Press

Lo sport re della neve

Durante la settimana internazionale degli sport invernali di Chamonix del 1924 lo sci ebbe un ruolo di primo piano, anche se unicamente nella disciplina dello sci di fondo; lo sci alpino (discesa, slalom eccetera) sarebbe stato introdotto solo nei giochi del 1936.
L’immagine sopra queste righe mostra il norvegese Thorlieh Haug, grande esperto della specialità, intento nella gara dei diciotto chilometri, della quale fu dichiarato vincitore, come anche della prova di cinquanta chilometri e della combinata.


Sci… militare
Foto: Presse Sports / Cordon Press

Sci… militare

Sempre della Norvegia era originaria la pattuglia militare, altra competizione svoltasi nel 1924. Squadre composte da quattro sciatori dovevano percorrere venticinque chilometri e quindi cimentarsi nel tiro al bersaglio, migliorando di trenta secondi il tempo della propria squadra con ogni colpo andato a segno.
Nell’immagine, Antoine Julen seguito da Alphonse Julen e da Alfred Aufdenblatten, della squadra svizzera, vincitrice della prova.


Una gara sportiva
Foto: Lux-in-Fine / Bridgeman / ACI

Una gara... sportiva

Nel 1928 la disciplina divenne uno sport dimostrativo, e nel 1960 entrò definitivamente a far parte dei giochi con alcune modifiche sotto il nome di biathlon.
Nella fotografia, due concorrenti – quello a destra, della squadra francese, terza classificata – si salutano.


Salti, una prova spettacolare
Foto: Alamy / ACI

Salti, una prova spettacolare

La prima competizione di salto con gli sci – uno sport originario dei Paesi nordici – ebbe luogo a Oslo nel 1879. Negli anni seguenti la disciplina si diffuse nei Paesi dell’Europa centrale e negli Stati Uniti. La spettacolarità di questa prova fece sì che nel 1924 le venisse riservato l’ultimo giorno dei giochi di Chamonix. La competizione si svolse su una pista di quasi ottanta metri di lunghezza appositamente costruita e vi parteciparono ventisette saltatori provenienti da nove Paesi.
La fotografia mostra il salto del norvegese Narve Bonna, che gli valse la medaglia d’argento.


Non vinse il salto più lungo?
Foto: IOC

Non vinse il salto più lungo?

Il salto più lungo (cinquanta metri) fu realizzato da Anders Haugen, un atleta statunitense, ma grazie al miglior punteggio di stile la gara fu vinta dal norvegese Jacob Thams, il cui salto è mostrato sopra queste righe. Haugen fu relegato al quarto posto, dietro i norvegesi Thams, Bonna e il pluripremiato sciatore di fondo Thorleif Haug. Sorse qualche dubbio sui punteggi dei giudici, ma non ci furono proteste e Haugen rimase fuori dal podio. Fu solo cinquant’anni dopo che l’errore di punteggio attribuito a Haug fu confermato. Da allora, lo statunitense figura nel palmarès come terzo classificato. La figlia di Haug viaggiò fino in Colorado per consegnargli la medaglia aggiudicata al padre per errore.


Lo sport nazionale canadese
Foto: Pubblico dominio

Lo sport nazionale canadese

Originario del Canada, i suoi abitanti hanno sempre considerato l’hockey su ghiaccio uno sport proprio. La loro squadra nazionale è quella con più vittorie olimpiche. Fu la prima vincitrice ai giochi del 1920 e ripetè il titolo nel 1924. Tanto ad Anversa come a Chamonix a rappresentare il Canada non fu una selezione di giocatori del Paese, come avviene ora, ma la squadra vincitrice del campionato nazionale per dilettanti. Nel 1924 tale onore ricadde sui Toronto Granites, qui in posa prima dell’inizio della gara. La loro più grande star, Harry Watson, è il quarto da sinistra.


Un ciclone inarrestabile
Foto: IOC

Un ciclone inarrestabile

Guidati dalla loro star “Alce” Watson, i Granites si dimostrarono imprendibili. Alle eliminatorie inflissero trenta goal alla Cecoslovacchia, ventidue alla Svezia e trentatré alla Svizzera senza incassarne nessuno. Col procedere del torneo, questo festival di goal attrasse folle via via più grandi, come nella partita delle semifinali contro la Gran Bretagna – mostrata in fotografia – in cui vinsero per diciannove a due. La finale contro gli Stati Uniti fu saldata con un “modesto” sei a uno, grazie al quale si portarono in Canada la medaglia d’oro.


L’unica prova femminile
Foto: TT News Agency / Album

L’unica prova femminile

Il pattinaggio artistico su ghiaccio fu l’unica categoria in cui gareggiarono le donne a Chamonix, tredici in totale. La competizione consisteva in una prova di figure obbligatorie e in un programma libero accompagnato dalla musica. La vincitrice fu la ventiduenne austriaca Herma Planck-Szabo, che avrebbe dominato la scena per tutti gli anni venti, ed è ricordata per essere stata la prima donna a gareggiare con una gonna lunga fino al ginocchio invece che con quella tradizionale alla caviglia. Il secondo posto andò alla ventiquattrenne statunitense Beatrice Loughran, visibile in fotografia.


Una stella in erba
Foto: IOC

Una stella in erba

Planck-Szabo e Loughran dovettero condividere le luci della ribalta con una delle rivelazioni dei giochi, Sonja Henie. Campionessa norvegese di pattinaggio, aveva appena undici anni e fu la partecipante più giovane dell’evento. Durante la routine di pattinaggio libero si avvicinò più volte a bordo pista per chiedere al suo allenatore quale dovesse essere il prossimo passo: su otto partecipanti arrivò ultima. Ma nelle tre edizioni olimpiche successive vinse l’oro nella gara individuale femminile e aggiunse al suo palmarès dieci titoli mondiali consecutivi.


La creatrice del pattinaggio moderno
Foto: 20th Century Fox Licensing Merchandising / Everett Collection / Cordon Press

La creatrice del pattinaggio moderno

Il successo di Henie andò oltre lo sport: gareggiava con pattini innovativi, rese di moda l’uso dei pattini bianchi e fu la prima a utilizzare movimenti di danza nei suoi spettacoli. Dopo i giochi del 1936 si trasferì in California per cominciare una carriera nel mondo del cinema, dove fu protagonista di dodici pellicole per gli studi della 20th Century Fox.
La fotografia in alto è tratta dal musical Wintertime, del 1943.


Presente e futuro
Foto: Associated Press

Presente e futuro

Sonja Henie posa in questa fotografia con Gillis Grafström, campione olimpico imbattuto: aveva ottenuto l’oro nella prova individuale maschile di Anversa e a Chamonix confermò l’alloro. Quattro anni più tardi, a Saint Moritz, sarebbe arrivato di nuovo al primo posto, diventando l’unico pattinatore artistico maschile ad aver vinto tre medaglie d’oro olimpiche individuali. Fu detronizzato soltanto a Lake Placid, nel 1932.


Le piroette dell’architetto
Foto: Pubblico dominio

Le piroette dell’architetto

Oltre che per il suo spettacolare palmarès, Grafström è ricordato per aver inventato varie figure, in particolare le trottole change sit e flying sit. Laureato in architettura nel 1918, esercitò la professione fino al 1938, quando morì all’età di quarantaquattro anni.


Discese vertiginose
Foto: IOC

Discese vertiginose

La prova di bob si svolse sulla pista di Pélerins all’inizio di febbraio e, come il resto delle gare, attrasse una folla ampia e rumorosa, ansiosa di vedere i concorrenti precipitarsi a velocità vertiginose lungo la discesa con i loro rudimentali attrezzi. Alla fine la squadra vincitrice fu quella svizzera.
In altro, la squadra statunitense posa con la sua slitta.


Sport minori
Foto: Spaarnestad Photo / Bridgeman / ACI

Sport minori

Nel programma dei giochi olimpici invernali del 1924 il curling, un gioco simile alle bocce che ebbe origine in Scozia nel XVI secolo, fu uno sport minore. Alla competizione parteciparono solo tre squadre: Regno Unito (in fotografia), Svezia e Francia. I campioni indiscussi furono i britannici, che vinsero le loro due partite 46-4 e 38-7. In seguito questa disciplina scomparve dal programma fino alla sua reintroduzione nel 1988. 


Uno sport singolare
Foto: Tairraz / Cordon Press

Uno sport singolare

Lo skijöring, o “guida con gli sci”, è una disciplina in cui lo sciatore è trainato da un animale, di solito un cane o un cavallo. Questa curiosa competizione fu introdotta come sport dimostrativo a Chamonix e quattro anni dopo anche a Saint Moritz. In entrambe le occasioni l’animale da tiro fu il cavallo.


Tecnologia avanzata
Foto: Tairraz / Cordon Press

Tecnologia avanzata

Nei giochi di Chamonix fu usato uno dei primi veicoli fuoristrada della storia. I Citroën-Kegresse K1 semicingolati, come quello che appare in fotografia, furono usati per gli spostamenti di atleti e membri dell’organizzazione, per preparare i campi e le piste e perfino per trascinare i bob ai punti di partenza e di arrivo.


Un successo clamoroso
Foto: IOC

Un successo clamoroso

Il 5 febbraio, al termine delle prove, si tenne la cerimonia di chiusura, con la consegna delle medaglie e un discorso di Pierre de Coubertin, presidente del comitato olimpico internazionale. L’evento fu considerato un successo, e così l’anno successivo la settimana internazionale degli sport invernali – così si era chiamato l’evento di Chamonix – fu dichiarata la prima edizione dei giochi olimpici invernali.


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venerdì 4 febbraio 2022

La “Belle Epoque” lanciò in Europa il primo movimento ecosostenibile con le funicolari

La “Belle Epoque” lanciò in Europa il primo movimento ecosostenibile con le funicolari
L’ardito progetto “Borgofranco - Andrate” del 1909 di Modesto Gillio non venne mai realizzato

Andrate


La funicolare è una modalità di trasporto terrestre “a guida vincolata”, appartenente alla categoria del trasporto a fune, solitamente in regime di servizio o trasporto pubblico.
Le caratteristiche distintive sono l’utilizzo di una fune come organo di trazione e il movimento su una o più vie di corsa costituite da classici binari oppure da speciali guide, metalliche o di altri materiali. In queste ultime realizzazioni possono venire impiegate ruote gommate.
Questi impianti vengono generalmente realizzati allo scopo di superare sensibili dislivelli – soprattutto in ambiti montuosi – ma esistono numerosi esempi, in particolare in tempi recenti, a sviluppo pianeggiante o misto. La funicolare non va confusa con la ferrovia a cremagliera la quale, pur circolando su binario, presenta un principio di funzionamento radicalmente diverso, come l’attuale Sassi–Superga:

Trenino a cremagliera della Sassi-Superga
 
nata nel 1884 come funicolare a vapore sistema Agudio, nel 1934 venne trasformata nell’allora ormai consolidata tecnologia a cremagliera che dura ancora oggi: la ferrovia a cremagliera, un sistema di trazione ferroviaria impiegato quando l’elevata pendenza del binario rende necessario ricorrere a sistemi che aumentino l’aderenza dei mezzi destinati a trainare i treni (locomotive o automotrici) o sia necessario garantire la sicurezza della frenatura o della fermata in linea dei treni.
Si basa sull’impiego di una rotaia dentata (detta anche cremagliera) collocata parallelamente al binario, normalmente al centro fra le rotaie ma talvolta anche fuori asse. I veicoli sono dotati di una o più ruote dentate (anche pignone) collegate ai meccanismi di trazione oppure a un sistema di frenatura. I convogli possono così muoversi indipendentemente dall’inclinazione del tracciato.
 
Le funicolari esistenti in Piemonte oggi sono quelle di Biella-Piazzo, realizzata nel 1885; Mondovì Piazza–Mondovì Breo,   realizzata nel 1886 e re-inaugurata nel 2006 dopo essere stata chiusa dal 1975. Invece non esiste più a Torino, la Corso Casale–Monte dei Cappuccini, abbandonata dopo un bombardamento alleato nel 1942.
 
Funicolare Biella-Piazzo
 
Vecchia carrozza della Funicolare Mondovì-Breo

Nuova e modernissima cabina della Funicolare Mondovì-Breo

In Valle d’Aosta invece abbiamo due funicolari, una limitata al servizio sciistico che è la Funicolare del Monte Rosa in località Frachey, nel comune di Ayas e l’altra di Saint-Vincent che collega il centro abitato omonimo con lo stabilimento termale “Fons Salutis” che fu inaugurata nel 1900.

Funicolare del Monte Rosa


Ingresso della Funicolare a Saint Vincent

In Canavese la funicolare rimase allo stato di progetto che è tornato alla luce grazie all’Associazione “Mario Clemente” per Ricerche di Storia e Cultura Locale, apparso nel loro bollettino annuale 2021, dal titolo: “Borgofranco, figure e momenti del passato” della collana “Quaderni di storia e cultura locale VII”. La documentazione è stata preservata dall’oblio da Silvano Regruto Tomalino di Chiaverano che ha permesso la pubblicazione.
L’idea della funicolare venne a persone di Andrate e quando fu propugnato il progetto nell’ottobre del 1909, non esisteva ancora la strada carrozzabile Borgofranco-Nomaglio-Andrate (SP 72 e SP 73) perché fu realizzata soltanto nel 1918. Il progetto venne redatto dall’elettrotecnico di Andrate Modesto Gillio che avviò la pratica presso il Ministero dei Lavori Pubblici per ottenere il Decreto di concessione.
 

Il medesimo era stato depositato, a norma dell’art. 129 del Codice di commercio presso il Tribunale di Ivrea. Era così sorto un comitato promotore per realizzare l’impresa. La situazione stradale di Andrate all’epoca era critica: collegata a Mongrando (12 km), da qui si poteva raggiungere Biella con la ferrovia a scartamento ridotto, prima a vapore e poi elettrificata nel 1922 e che sarebbe rimasta in esercizio fino al 1951 quando fu smantellata insieme alla ferrovia Biella-Oropa.
 


Peggiore la situazione sul fronte canavesano: "3 chilometri di mulattiera per raggiungere Borgofranco e di qui la ferrovia Chivasso–Aosta, mulattiera che non può percorrersi se non faticosamente a piedi o a dorso di mulo, con gravi ostacoli nel movimento dei passeggeri e tale onere sul costo di trasporto dei prodotti d’importazione, che sono moltissimi: dai materiali di costruzione fino alle derrate alimentari, avendo la regione scarse risorse, da rendere eccessivamente care le comodità più comuni della vita e da paralizzare completamente qualunque sviluppo edilizio e industriale”.
Molti i benefici previsti: Andrate sarebbe diventata una Stazione Climatica Alpina, meta ideale per il turismo del benessere, che faceva il paio con le rinomate acque minerali di Borgofranco con il suo Stabilimento Idroterapico, gli hotel collegati e il Birrificio De Giacomi. Inoltre la funicolare avrebbe costituito il collegamento tra Valle d’Aosta, Val Chiusella e alto Biellese.
Il dislivello di 594 metri prevedeva un tracciato di oltre 10 km, ma scegliendo la trazione funicolare, poteva essere colmato con un tracciato di soli 2 km. La motrice fissa sarebbe stata installata nella stazione di Andrate. Causa dirupi e avvallamenti la linea sarebbe sorta più a levante del tracciato diretto Borgofranco-Andrate e la stazione sarebbe sorta in frazione Biò in regione Corsano, mentre ad Andrate, spostata di 700 metri dal capoluogo verso Sala Biellese, risultando comodissima a Donato e ai paesi della Valle dell’Elvo.
La funicolare avrebbe avuto uno sviluppo orizzontale di 1309 metri, partiva dai 292 m. slm. di Corsano (Biò) per arrivare ai 764 di Andrate percorrendo un dislivello di 472 metri con una pendenza variabile: dal 23% minima al 59% di massima pendenza. Lo scambio intermedio avrebbe avuto una larghezza di 6,50 metri contro i 3 dell’intero corpo stradale a binario semplice, quest’ultimo di un metro di scartamento, realizzato con rotaie Vignoles e traversine di castagno.
 

La Stazione di Borgofranco doveva comprendere: “un fabbricato viaggiatori in stile barocco moderno con decorazioni in cemento e in ferro, formato da due corpi: l’anteriore con comunicazioni col piazzale per mezzo di tre grandi porte e di una gradinata destinata a sala d’aspetto, a vendita dei biglietti e buffet; il posteriore inclinato con binario per l’ingresso della vettura e due gradinate a ripiani ai lati, destinate l’una all’entrata, l’altra all’uscita dei viaggiatori dalle vetture. Un piano caricatore collegato al piazzale con apposita strada, destinato al caricamento delle merci”.
Molto simile il progetto della stazione di Andrate, con l’unica differenza sostanziale, quella di un vasto locale sotterraneo per ospitare il motore che muoveva la fune di traino e un secondo binario che portava alla rimessa delle carrozze.
Il motore creava il movimento della fune mediante una grande puleggia sul cui asse vi erano i tamburi dei freni elettrici e a mano. Il motore aveva bisogno di una tensione elettrica di 500 Volts e di un’apposita cabina di trasformazione.
Un quadro portava tutti gli strumenti di misura elettrica, una leva d’avviamento e una leva d’inversione di marcia, una leva per il freno elettrico e un volante per il freno manuale, un tasto per i segnali, un apparecchio ripetitore delle posizioni delle vetture, il tutto raggruppato in un centro comando. Un regolatore a forza centrifuga interveniva sul freno oltre una certo limite di velocità. Il manovratore in carrozza azionava un pedale quando entrava in stazione per togliere la corrente al motore e l’intervento del freno elettrico per arrestare le vetture a fine corsa. Le carrozze previste erano per i viaggiatori e per il trasporto merci. La corsa durava 23 minuti e il potenziale orario previsto era di 62 passeggeri e 680 kg di bagagli in salita e altrettanti in discesa, ovvero una massa complessiva trasportabile di 7.200 kg. Un collegamento elettrico permetteva il contatto segnaletico continuo tra le due stazioni e le carrozze in viaggio.
Il progetto esponeva poi il piano finanziario: 200 giorni in inverno con popolazione locale e 100 giorni estivi a cui si sommavano i forestieri, 50 festivi con l’arrivo dei gitanti con 15 giorni di sospensione per imprevisti teorici. Il biglietto sarebbe costato 70 centesimi la salita e 50 la discesa, il biglietto A/R, 1 Lira. La tariffa bagagli di una Lira/quintale in salita e 60 centesimi in discesa e le merci 5 Lire a tonnellata in salita e 3 in discesa.
Questo regime d’incassi avrebbe garantito un utile annuo del 5,94 % sul capitale, quello cioè necessario alla costruzione dell’impianto, pari a 200.000 Lire. Tra i vari costitutori del comitato e i sottoscrittori dello statuto della “Società Anonima Funicolare Borgofranco – Andrate” figuravano, oltre all’ideatore, l’elettrotecnico Modesto Gillio, Vittorio Modina, sindaco di Andrate, l’ingegner Camillo Perron, deputato al Parlamento, Giacomo Saudino, avvocato e consigliere provinciale, l’avvocato e sindaco di Ivrea Giovanni de Jordanis, il sindaco di Borgofranco Germano Balmino, Vittorio Montaldi, agente consolare d’Italia in Inghilterra, Luigi Rabogliatti presidente della confederazione commercianti d’Ivrea, l’ingegner Carlo Guaschino, Oreste Garda, l’avvocato Egidio De Giacomi, Giovanni Ferrando, il banchiere Filippo Deangelis, l’ingegner Giuseppe Borello e il geometra Antonio Delapierre. Il capitale di 200.000 Lire sarebbe stato diviso in 2000 azioni da cento Lire cadauna. Il 18 ottobre 1909 tutti firmarono davanti al notaio Roscio di Borgofranco d’Ivrea.

Ma la funicolare non venne mai costruita.

Fabrizio Dassano - pubblicato su "Il Risveglio popolare" del 3 febbraio 2022