giovedì 24 marzo 2022

GENERAZIONE Z

Prologo...

da Open Online del 21 febbraio 2022

«La Z è come svastica e falce e martello, va messa al bando»

Il mistero della lettera “Z” sui carri armati russi al confine con l’Ucraina

Una lettera Z appare sui carri armati russi e sulle file di convogli che si stanno muovendo verso il confine con l’Ucraina. A notarla i media britannici, tra cui il Telegraph. Le lettere sono disegnate all’interno di un quadrato bianco su carri armati, cannoni semoventi, camion di carburante e veicoli di rifornimento e l’ipotesi è che servano per determinare dei ruoli specifici in un qualche tipo di operazione militare. Il canale indipendente russo di Telegram Hunter’s Notes, che monitora da vicino i movimenti militari, ha affermato che «tutte le attrezzature (contrassegnate con “Z”) sono state viste vicino a Kursk e nella regione di Shebekino a Belgorod» al confine con l’Ucraina. Circa 200 veicoli militari sono stati avvistati nell’area, e poiché i contrassegni “Z” sono stati «applicati frettolosamente», il canale suggerisce che «abbiamo a che fare con un certo gruppo di truppe a cui sono stati assegnati compiti e piani per il prossimo futuro».
Altre ipotesi suggeriscono che la sigla serva a proteggere le forze russe dal fuoco amico dei separatisti del Donbass, in caso di invasione. I carri militari hanno sfilato per le strade di Shebekino, 28 chilometri a sud-est di Belgorod. E le immagini sono finite su Tik-Tok. . Secondo l’analista Rob Lee, che ne ha parlato su Twitter, la «Z» potrebbe riferirsi a diversi contingenti assegnati all’invasione: «Sembra che le forze russe vicino al confine stiano dipingendo dei marcatori, in questo caso una lettera, per identificare diversi livelli e task force». Le teorie più fantasiose hanno invece spiegato la «Z» collegandola al nemico numero uno della Russia, il presidente ucraino Zelensky.

Esegesi...
 


FORSE È VERO CHE SI STAVA MEGLIO UNA VOLTA, MA INDIETRO NON SI PUÒ (e non si deve) TORNARE
 
Generazione Z: è questo l’appellativo utilizzato per indicare i nati dal 1996 al 2010. Sono i bambini e i ragazzi che oggi hanno tra gli 12 e i 28 anni e sono la generazione dei nativi digitali, i First Connected Kids, coloro che sono cresciuti in un mondo già tecnologico e altamente informatizzato. I post- Millennials posseggono una spiccata tendenza all’autonomia, alla non-discriminazione, alla ricerca del contatto con il mondo e le sue differenti culture; per questo sono amanti dei viaggi, delle piattaforme sociali attraverso le quali fare esperienza del nuovo e del diverso, di tutto ciò che è creativo e innovativo. Sono altresì consapevoli che il mondo è nelle loro mani e che per possederlo a volte basta “swippare” con un dito su un display LCD. Di loro si parla poco – o comunque non si parla abbastanza – ed è per questo che spesso gli adulti non sono in grado di comprenderli, di aiutarli, di indirizzarli e di rispondere alle reali incombenze a cui un Centennials – gli appellativi sono molteplici – si trova a dover far fronte.

L’adulto di riferimento della Generazione Z – Millennial se si è fortunati, Generazione X nel più comune dei casi – ha subìto sulla propria pelle i cambiamenti della società degli ultimi 35 anni e li ha accolti con iniziale sfiducia, riluttanza, preoccupazione, diffidenza. L’uomo e la donna che oggi hanno superato i 40 anni di età, hanno visto scomparire la lira, le cabine telefoniche, le televisioni a tubo catodico, i mangiacassette e poi anche – come se non bastasse – i lettori CD, i piccoli negozi di quartiere, il telefono fisso, i rullini fotografici, i termometri a mercurio e persino le mezze stagioni. In buona sostanza si sono visti catapultati in un mondo diverso, per certi aspetti del tutto nuovo, in cui ciò che era familiare o è scomparso, o si è evoluto. Hanno dato alla luce i loro figli in questa nuova società digitalizzata senza essere del tutto equipaggiati per accompagnarli a crescere in essa. Tutto intorno a loro si evolve e starvi al passo è piuttosto complicato, cosa che non si può certo dire per i Centennials che sono, al contrario, in grado di adeguarsi e adattarsi ai cambiamenti tecnologici e sociali cui si va incontro di anno in anno. È in questo contesto e in questi gap generazionali che trova luce la recente proposta tesa a valutare una reintroduzione del sevizio di leva militare obbligatorio per i giovani tra i 18 e i 28 anni, dunque la fascia d’età che comprende gli Younger Millennials e gli Older Gen Z.

Pur essendo stata inizialmente respinta, la proposta circa il servizio militare ha destato un – seppur flebile – clamore per via dei pareri discordanti e diametralmente opposti espressi in relazione ad essa. Una buona parte della popolazione adulta italiana ritiene che la leva militare sia lo strumento adatto attraverso cui educare i giovani al rispetto, al senso del sacrificio e dell’impegno, alla collaborazione e condivisione con i propri compagni evitando l’isolamento provocato dalle nuove tecnologie, all’acquisizione di regole della buona convivenza e del vivere civile, all’indipendenza e all’obbedienza. Al contrario, molti si sono espressi con opinioni avverse ritenendo che il servizio militare sia fondato su un metodo obsoleto e coercitivo che nulla possa offrire di educativo e formativo e che potrebbe altresì danneggiare, più che rinforzare, un giovane che sta per affacciarsi al mondo dell’università o del lavoro. Di fronte a tale parallelismo è opportuno interrogarsi e cercare di indagare a fondo la questione, poiché la tematica va ben oltre il mero schieramento tra chi è d’accordo e chi non lo è, tra chi è a favore e chi contro, tra chi è troppo rigido e chi troppo lassista.

La proposta di reintroduzione della leva militare obbligatoria è cruciale e fortemente rappresentativa del nostro Paese, che si dimostra nuovamente essere una nazione vecchia, governata da giovani e meno giovani perlopiù legati ad una mentalità arcaica, incapaci di innovazione e di scelte audaci, impossibilitati ad uscire dalla logica dei bianco/nero, noi/loro, sì/no dimenticando che esistono anche il grigio, la comunità e il "dipende". Il servizio di leva obbligatoria nacque ancor prima dell’unità d’Italia e si estese ufficialmente a tutto il territorio nazionale nel 1875. Tutti i cittadini maschi dovevano dedicare un anno o più della loro vita all’addestramento militare in contesti spesso lontani dalla propria regione di origine e dagli affetti. Gli scopi fondanti di tale misura risultano essere l’educazione dei giovani e l’ampliamento delle forze armate addestrate, escludendo le donne che di fatto sono entrate a far parte delle forze armate dell’esercito italiano negli ultimi decenni del ‘900. Nel 2004, constatato il generale e consolidato periodo di pace internazionale, l’obbligatorietà del servizio venne sospesa – non abolita – con la Legge Martino (L. 23 agosto 2004, n. 226) che sanciva di fatto la possibilità futura di reintroduzione dell’obbligatorietà qualora vi fossero state necessità incombenti di sicurezza e difesa dello Stato. È da qui che si riparte oggi: quella sospensione decretata 18 anni fa potrebbe essere revocata.

Come si evince dalla proposta di legge n. 4594 del 2017, la leva obbligatoria consentirebbe di ricostruire nei giovani una cultura della solidarietà e della collaborazione tra i cittadini, di restituire un senso di appartenenza e amore per la patria e, infine, di rispondere ad alcuni bisogni primari del territorio, dando modo a tutti di rendersi utili alla società nell’ambito per il quale ognuno si sente più portato: la protezione civile o la difesa militare. Più nello specifico, attraverso la cosiddetta naja si intende garantire alle Forze armate un bacino più ampio di riserve mobilitabili, qualora la situazione internazionale non accenni a migliorare e risulti invece indispensabile affiancare ai professionisti attuali, di cui peraltro dovrebbe essere ridotto in modo consistente il numero, una più vasta platea di persone che abbiano svolto un servizio militare addestrativo basico.

Il testo specifica che il servizio, militare o civile, avrà una durata di otto mesi, dovrà essere assolto nell’arco di tempo tra i 18 e i 28 anni e sarà previsto indistintamente per uomini e donne, compatibilmente con gli impegni di studio, nella propria Regione. Sebbene i propositi siano meritevoli, è bene soffermarsi sulle motivazioni che hanno spinto il Ministro ad avanzare tale proposta e sulle conseguenze che questa potrebbe avere nell’immediato futuro, qualora il ripristino della naja dovesse effettivamente compiersi.

Queste dichiarazioni sembrano far intendere che il nostro Paese stia vivendo una crisi dei valori, un’emergenza educativa che caratterizza le nuove generazioni: i giovani appaiono privi di stimoli, incerti, prepotenti, dipendenti dalle tecnologie e dai social network, disinteressati e scostanti, narcisisti, insubordinati, apatici. Hanno pertanto bisogno di essere indirizzati, condotti verso il tipo di educazione che i loro padri hanno ricevuto. In pratica, hanno bisogno di essere riportati indietro al 1970, quando il benessere economico e sociale era al suo massimo splendore, quando il lavoro non mancava, le opportunità erano limitate ma pur sempre presenti, la famiglia era solo all’inizio del suo declino e tutto era ancora da scoprire. È il mondo in cui la Generazione X ha sempre vissuto e che, nostalgicamente, vorrebbe riportare in auge.

Peccato che costringere i giovani di oggi ad adattarsi alla società di ieri sarebbe come tornare a vivere senza i cellulari o le auto o le calcolatrici. Possibile, ma quasi innaturale ed è plausibile pensare che nessuno, neanche il più conservatore e tradizionalista tra noi, sarebbe disposto a farlo.

Nel parlare della proposta di reintroduzione della leva militare obbligatoria, risulta importante sottolineare quanto la classe politica ignori chi siano i giovani di oggi, quali siano le problematiche del mondo del lavoro (consideriamo il 45% di disoccupazione giovanile) e quali invece le criticità legate ad un sistema scolastico che non è in grado di fornire una didattica al passo con i tempi e un orientamento efficace ed in linea con le richieste della società.

Lo afferma un cyberpedagogista esperto di adolescenza e specialista in pedagogia clinica e media digitali attivo nella provincia di Varese, il quale aggiunge in via provocatoria: se è la società stessa ad essere immorale, se è la generazione adulta ad aver fallito nel delicato compito della trasmissione dei valori, se sono i genitori in primis a rimanere legati ad un principio narcisistico di benessere generale... come può un giovane essere confacente alle aspettative di chi desidera vederlo educato, altruista, civilmente impegnato? A queste condizioni, forse sono gli adulti ad aver bisogno della leva!.

Non diverso è il parere degli altri professionisti del settore educativo e della salute coinvolti nella presente ricerca tramite un sondaggio online, che è stato compilato da circa 60 esperti tra cui educatori, pedagogisti, psicologi, e insegnanti. Più della metà degli intervistati ha riconosciuto la necessità di pensare a proposte alternative al servizio militare obbligatorio che possano comunque andare a rispondere alle esigenze della società così come a quelle dei giovani: risulta fondamentale pensare a interventi che siano ideati e progettati da esperti del mestiere, educatori e pedagogisti in particolare, i quali sono in grado di fornire una attenta analisi del contesto, dei bisogni, delle modalità più adatte per farvi fronte. Non occorre che un militare insegni ad un giovane a rispettare le regole: ci sono modalità pedagogicamente rilevanti e scientificamente funzionali che prescindono dall’abuso di potere o dall’imporsi sterile dell’autorità. Tra le soluzioni alternative pervenute tramite il sondaggio, si sottolinea che sarebbe importante puntare sul servizio civile nazionale – già esistente e da potenziare, sul ripristino delle ore di educazione civica a scuola, su un rinnovamento del nostro scadente sistema scolastico, sulle politiche per la famiglia e il sostegno ai genitori nel difficile ruolo cui sono chiamati, sulla collaborazione tra agenzie educative che ruotano attorno al bambino e al giovane, sulle esperienze di aggregazione e di volontariato in contesti diversi da quello di origine, sulle pratiche di prevenzione del disagio, sui progetti di cittadinanza attiva e di buona cittadinanza, sullo sviluppo di una cultura umanistica che sia di tutti e per tutti e che ci aiuti a ritrovare quel senso di umanità e civiltà che a volte sembra perduto. Gli educatori, i pedagogisti, gli psicologi, gli insegnanti, i sociologi, i filosofi, gli antropologi e tutti i professionisti dell’umano pronti a questa sfida, occorre lasciarli operare.
 
È necessario che si comprenda che non esistono solo il bianco o il nero: il sentimento del “si stava meglio una volta” è anacronistico di per sé, poiché “una volta” non esiste più. È un errore dividere il mondo in noi e loro: se l’intento è quello di educare i giovani alla solidarietà, all’amor di patria e al rispetto dell’altro è inutile separare i buoni dai cattivi e sperare di essere dalla parte fortunata della barricata. 
 
È doveroso prendere le distanze dai sì assoluti e dai no imperativi: c’è un universo infinito di risposte, di causali, di varianti che non riescono a star chiuse dentro due lettere. Ecco, perciò, che bisogna riconoscere il grigio: forse è vero che si stava meglio una volta, ma indietro non si può tornare e l’unica cosa sensata da fare è prendere il buono che c’era un tempo e adattarlo al presente, senza snaturare ed impedire l’evoluzione delle cose. Dunque sì all’educazione dei giovani, ma con le modalità e i presupposti adeguati al nostro/loro tempo. Bisogna poi riappropriarsi della comunità: la comunità è ciò che ti fa sentire legato alle altre persone, dalle quale puoi ricevere sostegno o per le quali puoi essere un aiuto. Dunque sì a politiche educative, ma con i professionisti formati per tale compito i quali hanno il dovere di lavorare in sinergia con metodologie interdisciplinari. Bisogna, infine, innamorarsi del dipende: non ci sono categorie indivisibili, il mondo e gli uomini presentano miliardi di sfaccettature di cui occorre tener conto.
 
Dunque sì anche ai militari e al servizio di leva, ma bisogna iniziare a guardare alle individualità e qualità di ciascun giovane e proporre misure adatte a ciascuno di modo che ognuno cresca in libertà e in congruenza con il proprio essere. 
 
La Z che oggi campeggia sugli schermi di televisori, telefonini e computer è un'altra cosa e non rappresenta sicuramente lo spirito e le intenzioni dei nostri giovani. Dobbiamo fare in modo che la Z e la X diventino gli strumenti in grado di bloccare e, se necessario, distruggere sul nascere la follia psicopatica della guerra e chi la impersona e la sostiene.
 
Forse la cosa giusta sarebbe il non dimenticare quale sia la vera natura dell'uomo, a prescindere dagli step evolutivi e dalla stratificazione della storia, ridefinendo l'ossimoro della coesistenza del bene comune e l'univocità dei singoli, il "nostro" e il "mio", il "vostro" ed il "tuo".

Nemo

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